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      Risposi il "Son qua" inevitabile, e mi preparai a sentire qualche gran precipizio, che don Filippo era famoso per metter il paese a rumore dovunque si trovasse. Eroe di tutti i chiassi ai teatri, di tutti i tapages nocturnes, di tutte le buglie di caffé, di tutte le discussioni non pacifiche coi giandarmi, di tutti i parapiglia possibili ed immaginabili; nemico di tutti quelli che lo guardavano di traverso, di prospetto, di fianco o di dietro, odiatore acerrimo della neutralità disarmata, costruttore, combinatore, e non mai pacificatore di duelli (credo che un paio di volte ei provasse se poteva battersi anche con me), era naturale che quel suo arrivarmi addosso con quella dichiarazione in tuono atto quinto, scena ultima d'una tragedia, mi facesse correre col pensiero agli estremi limiti del possibile in fatto di pazzie.
      Ma l'affare si scoperse ancor piú grave di quel che mi figuravo.
      Mi disse in poche e frementi parole, come sere prima, uscendo d'una casa che non nominò, fosse stato assalito per una scala stretta ed allo scuro da piú individui. V'era stato un parapiglia, avea sentito i pugnali scalcinar le mura intorno; s'era fatto sotto col suo menandolo a caso, e, conclusione finale, n'era uscito illeso e se l'era svignata senza uno sgraffio.
      Mi voleva far intendere cosí in nube che si credesse appostato per cose d'amore. Io però conoscevo quel suo pugnale, ed avevo notato che presso all'impugnatura portava inciso sulla lama un piccol 3.
      Siccome avevo idea di società segrete esistenti in Roma, m'era passato per la mente, vedendo quel numero, che trovandosi già occupati i posti di Bruto I e Bruto II, don Filippo fosse fatto titolare di quello di Bruto III. Udendo poi ora di questo assalto, il sospetto mi crebbe.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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