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Favorisca un po' dirmi se lei, signor lettore, si sarebbe dato carico di scrivere a Marino, ed istituire un'inchiesta per appurare se veramente nel 1824 vi era accaduto tutto quanto gli avevo raccontato?
Se dunque era in mia mano di darle ad intendere un monte di frottole, senza che le fosse possibile smentirmi, confessi che è un atto di virtú per parte mia il dirle semplicemente ora che la tremenda notte finí in prosa liscia liscia, con una bell'aurora ed una splendida levata di sole come tutte le altre notti; che gli abitanti di casa Tozzi si ritrovarono la mattina ad ora competente senza che a nessuno fosse stato torto un capello; che uno solo mancava, ed era il signor Raimondo. Avendo faccende a Roccapriora, castello della montagna lontano sette o otto miglia, che doveva fare a cavallo, per fuggire il caldo, s'era fatto svegliare dal suo servitore prima di giorno. Questi era venuto nell'andito che dava adito alle nostre camere guidato dal sor Checco (ed io che gli dava del traditore! poveretto!); e siccome sbagliava l'uscio e stava per bussare da me, venne rimesso sulla buona via colle parole che terminano il capitolo antecedente.
Il commissario poi non potendo, per il suo impiego, fare lunghe assenze da Roma, vi ritornò presto colla sua famiglia. Don Filippo, che non l'avea voluto mai vedere, rientrò nel consorzio, e la nostra vita riprese come prima, senza serbar traccia di tutte le agitazioni che s'eran provate, causa quel benedetto duca.
Ciò che non era accaduto allora, accadde però in appresso; ed egli si trovò in guai seri, e fu arrestato pel fatto de' birbi ai quali s'era accompagnato. Ma di queste vicende non parla piú la mia storia, e non mi rimane se non ad esprimere al lettore il mio rammarico di non aver potuto offrirgli una conclusione da farlo piangere, posto il caso ch'egli sia fra quelli che non possono soffrire il romanzo con lieto fine.
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