Ed ora, mutiamo discorso.
Dolori e gioie della vita artistica - tale è l'argomento che ho pensato trattare nel presente capitolo; e ciò per mie ragioni particolari. Non ne farò un mistero, ed eccole in poche parole.
Le arti d'imitazione, le arti belle - quando, ben inteso, non sono brutte - hanno per iscopo principale il dilettare. Se col diletto riescono a destare insieme negli uomini alti e virtuosi pensieri, tanto meglio; ma il semplice piacere può essere ad esse scopo bastante, e ad ogni modo è il solo mezzo che abbiano onde farsi accette; è la sola ragione della loro esistenza. Perciò vengono dette arti belle, ovvero arti di piacere.
Ma questo loro titolo è cagione, nella società, d'un grave e curioso sbaglio.
In generale, con un'argomentazione a posteriori molto erronea, si giudica che le arti, piacevoli a chi le gusta, lo siano in ogni occasione egualmente a chi le esercita, e quel che è piú serio ancora, a chi le studia. A dire artista, pare sempre che s'intenda un matto allegro, senza pensieri, che vive in un perpetuo carnevale!
Coloro, in ispecie, che attendono a professioni intese non al diletto, ma all'utile della società; quelli che trattano affari seri, i politici, i filosofi, gli economisti, gli avvocati, i medici, gli scienziati, ecc. - per quanto talvolta neppur loro non diano nel segno, e al modo stesso che i seguaci delle arti di piacere fanno spesso sbadigliare ed annoiano, cosí gli uomini seri riescano talvolta buffi e facciano ridere - ove s'incontrino in un artista, mostrano per lo piú un'invidia, un mezzo dispetto, potrei dire una stizza, paragonando in petto la loro vita accigliata col supposto vivere beato dell'artista interlocutore; e se ne vendicano facendogli capire con grazia che essi sudano portando in ispalla quel globo, sul quale esso sta a suo bell'agio seduto facendosi vento.
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