Quante volte m'accade - e che cappelli ci piglio! - d'uscir di casa dopo essermi rotto lo stomaco piegato in due al cavalletto per cinque o sei ore, avviandomi verso il pranzo senza appetito, e se il lavoro m'è venuto male colla bocca amara; e d'incontrare sotto i portici di Po un amico, omo serio, magistrato, regio impiegato o che so io, che anch'esso s'ingegna di metter insieme un po' di quella fama che tanta gente a questo mondo trova senza cercarla, e quante volte mi tocca sciropparmi una discussione di questo genere!
Prima, al solito, si parla del piú e del meno; si verifica se fa caldo o freddo, si ripete la nuova che tutti sanno, la lepidezza che ha già un servizio da poter chiedere il benservito; si dice male dei ministri, e poi:
L'omo serio. - E cosí lui fa sempre delle belle cose: - (lui, sotto i portici di Po, vuol dir lei).
Io. - Cioé... fo quel che posso... lavoro.
L'omo serio. - Eh! sí sí... già già... sappiamo. Lui sempre si diverte.
E intanto alza la destra all'altezza del mento, riunisce le tre dita che reggono la penna o il pennello, e descrive in aria una serie di piccoli circoli, come se un quadro consistesse in una catena di tanti o.
Io, che appunto per aver fatti troppi di questi supposti o mi sento doler le costole, a veder quel maledetto verso, dentro di me divento una vipera, che lo mangerei! e dico masticando amaro:
- Mi diverto!... secondo!... non sempre... Certo, lavoro nell'arte perché l'arte mi piace e m'aiuta a campare, ma non bisogna dir per questo...
L'omo serio. - Eh! via via... lui con quattro pennellate ha la zecca in casa... beato lui!
Io. - Ma... caro mio! Non bisogna mica credere che a far l'artista sia tutto divertimento. Si fa per passione sicuro.
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