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      .. ma, veda, non c'è mestiere che s'impari e s'eserciti senza fatica... anche i mestieri che paion piú allegri. Prenda il ballo. Crede lei che una ballerina diventi di cartello a furia di far salti e capriole solamente d'allegria: Sappia che per anni ed anni le tocca a lavorare per otto o dieci ore al giorno; far 2000 battements, altrettanti jetés e che so io per mattina, e se nulla nulla la salute non l'assiste, ed ha qualche difetto organico, rimetterci la pelle, se bisogna. Prenda la musica. È vero che ora, quando un tenore può cacciare un si di petto che si senta da strada, ha già il 90 per 100; ma pure, per quanto si possa generalmente essere cantante di cartello senza cantare, anche a questo modo lo star in iscena davanti al pubblico non lo può fare chi non ha faticato e sudato assai. Lo stesso dica della pittura. Un quadro appena mediocre, se sapesse quanti precedenti di fatiche, noie e studi suppone!...
      L'omo serio. - Bene... sí... capisco... certamente bisogna imparare, ma...
      L'uomo serio che pratica sotto i portici all'ora che si chiudono gli uffizi, sul totale è l'homo unius negotii, col quale non si scherza: ha un'idea per volta, l'ama come figlia unica, e batte sodo.
      - Sicuro, bisogna imparare; ma lui va in campagna a tirar giú (frase tecnica in italo-piemontese) quelle belle vedute... "fra l'erbe e i fior, fra ninfe e fra sirene...".
      Io. - Cioé, "al vento, al sol, fra mosche e fra tafani". (Mostro che anch'io so far versi).
      L'omo serio. - Bene, ma anche le ninfe tavolta si trovano... Eh via! crede che non si sappia!...
      E qui, dopo qualche malizietta analoga piú o meno pellegrina, ripete la sua solita sentenza:
      - Via, via... si diverta, e beato lui!
      Beato il diavolo che ti porti! dico io mentalmente; e dopo una affettuosa quanto poco sincera stretta di mano, me ne vo a pranzo.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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