Si trova la tavola apparecchiata; le bocce d'acqua appannate; i bicchieri colle loro fronde di vite a guisa piattino. La sora Maria e zi' Anna sollecitano il portar in tavola, e mi salutano con un'espressione pietosa dicendomi: - V'ammalerete, sor Massimo, a prendere ogni giorno di queste scalmate! - Ed io: - Eh niente! ognuno l'arte sua! Chi lavora mangia. - Entra il sor Checco in quel momento che vien dalle cave, dopo avere scalpellato dalla punta del giorno; anche lui molle come uscisse di fontana. Vede me suo fedel ritratto, quanto a sudore; vede il sor Virginio, il sor Mario e la sora Nina buttati per le sedie, freschi come rose, poiché si son alzati alle 9 e non hanno sentito sole; ed avendo udite l'ultime mie parole, dice con quel suo fare di parlare all'aria: - Chi lavora mangia - e chi non lavora mangia e beve. - Poi si mette in tavola tranquillamente: i due signori e la signora di casa non s'applicano l'epigramma, e fanno altrettanto con piena libertà di spirito. In una parola, mentre suona mezzogiorno ci troviamo tutti a quel tal pranzo che ho già descritto, colla sua lepidezza obbligata pel bere di zi' Anna, e colle non rare correzioni del sor Checco alle assai piú rare parole che talvolta pronunzia la povera sora Maria.
Sull'ora del pranzo spesso capitavano amici della famiglia, allettati dal buon fresco che si godeva in questa sala, e da un buon bicchier di vino che sempre era offerto ed accettato con scambievole cortesia. I villani di campagna di Roma che paiono cosí rozzi, ed in molte cose lo sono, hanno però formole tradizionali di gentilezza singolari. Chi sta mangiando o bevendo, fosse anche un poverello che trovaste sotto una siepe con una cipolla o un aglio in mano, se gli fate motto, non manca mai di dirvi: - Volete favorire?
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