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      Tutta questa gradazione era mantenuta mirabilmente, ed in ultimo si conchiudeva con un grido generale: - Evviva il poeta!
      È notabile come in quei paesi, ove i forestieri non hanno potuto esercitare grande influenza, si sia conservata tal e quale quella vita italiana del '500 che conosciamo dagli scrittori. Salvo l'importanza o l'ingegno degli individui, mi pareva, quand'ero a codesti pranzi, d'assistere a quelli delle antiche corti de' principi italiani: e probabilmente, tolto che invece del Fumasoni e del monsignore moderno, allora gli attori erano un Medici, un Montefeltro, un d'Este, con un Annibal Caro, un Poliziano, un Castiglione, ecc., quanto al resto la scena doveva all'incirca essere la medesima.
      M'occorrerà spesso indicare tali analogie.
      Non si credesse però che il sor Fumasoni notaio, poeta, letterato, e, quel ch'è peggio, sempre col vestito nero, fosse un uomo dappoco, un pulcin bagnato, come i suoi simili sono spesso altrove. Tutt'altro. Era figlio di Quirino, e tanto basta. Giusto a proposito del perenne vestito nero, mi viene in mente un fatto, dal quale si poté vedere se fosse un valentuomo, sí o no.
      Un giorno standomi intorno mentre dipingevo in casa - e mi seccava alquanto col suo non chetarsi mai - avevo deposta un momento la tavolozza sur una sedia. Eccoti che, riscaldato nel discorso, non ci fa avvertenza, ci si mette su a sedere, ed il vestito nero si assimila tutte le tinte, che vi restano stampate senza perdersene una. Chi non ha visto il sor Fumasoni in quel frangente, non ha idea della disperazione.
      Un vestito vuol dire una quindicina di scudi, e di rado gli aveva veduti radunati il povero poeta.
      Figuratevi! io m'alzo; e lui, io, le donne, tutti di casa intorno allo sventurato vestito.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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