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      L'indomani per una mia faccenda, fui costretto andarmene a Roma all'improvviso. Questa necessità si presentò a mezza mattina, quando già da un pezzo era partita la carrozza solita di Pietruccio. Mi convenne dunque fare lo spreco di staccare un altro legno, pagarlo salato, e ringraziare di poterlo avere.
      Era verso mezzogiorno ed ardeva l'aria. Entrai in un legnetto a due cavalli, molto di malumore d'avermi a stillare il cervello sotto la sferza del sole, e di dover altresí cangiare la diletta e leggera camiciola contadinesca, contro la giubba cittadina. Mio cocchiere era Peppetto, allievo della scuola del sor Mariani, giovane di diciott'anni, qualità ottima in un vetturino, perché, regola generale, i giovani frustano piú dei vecchi.
      Per fortuna il legno aveva un mantice, e potevo difendermi dal raggio diretto; è vero che quando questi mantici sono chiusi di dietro, e non aperti come usano in Sicilia, con che l'aria corra, s'infocano in modo che paion forni, ed è quasi peggio.
      Basta, ci avviammo come Dio volle giú per la selciata rotta della scesa di Marino. A veder que' legni tutti sconocchiati, che nell'andare fanno un chiasso che assorda: que' cavallini che paion caprette, colle tirelle e le catene davanti di fune, sembra che non si abbiano a far venti passi senza andar a pezzi, eppure si va sempre - è vero come in burrasca di mare - e m'è accaduto rarissimo di restar per istrada.
      Ero montato in legno in piazza, ed avevo trovato un compagno di viaggio, il cartolaio che teneva bottega a Monte Citorio in faccia al portone di del Cinque dov'è ora il negozio di Gallarini, e che dovendo anch'esso andare a Roma per straordinario, profittava dell'occasione pagando la sua metà.
      Scendemmo la collina, ed usciti dalle vigne e dalla vegetazione s'entrò in quelle 14 miglia di vero deserto che ci separavano da Roma.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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