Detto cosí dello spirito del mio lavoro, dirò ora della forma.
Scrivendo di me debbo mostrarmi quale sono. Debbo esser io, proprio io non un altro. Debbo, dunque, a questo fine non solo narrare i fatti esattamente, ed esporre senza velo i miei pensieri e le mie opinioni; è altrettanto necessario ch'io usi i modi, le frasi, le parole, i concetti miei soliti, quelli che emergono dalla mia individualità, dal carattere, dalle abitudini mie.
Io credo che per scrivere bene, bisogna in ogni caso scrivere come si parlerebbe ad una compagnia amica, ben educata, composta d'uomini rispettabili e di donne oneste.
Basta astenersi dalle sconvenienze e da certe trivialità; tutto il resto si deve può francamente, col medesimo stile e le medesime parole.
Se in Italia si adottasse questa regola; se una quantità di scrittori non si credessero obbligati di cambiar lingua quando hanno la penna in mano; se invece (mi sia permessa l'ardita immagine) se la mettessero in bocca, non sarebbe la lettura de' libri che si scrivono quella fatica improba, per non dire quell'impossibilità d'andar innanzi, che purtroppo è, per noi e piú pei forestieri.
E veda se è vero! L'Italia è uno dei paesi ove piú abbondano i facili, i bei parlatori, e dove piú abbondano al tempo stesso gli scrittori illeggibili. Scrivano invece come parlano in buona compagnia, e saranno letti come sono ascoltati con piacere. Veniamo ad un po' d'analisi onde meglio intenderci.
Supponiamo che in quella compagnia accennata dianzi avessero tempo e pazienza d'udirmi raccontare ciò che ora presento stampato; mi verrebbe egli in mente di principiare col dire: - Ecco, cari signorie gentili signore, Ricordi per Massimo D'Azeglio. - Come? (interromperebbe qualcuno), come? per lei?
| |
Italia Italia Ricordi Massimo D'Azeglio
|