Comunque sia, mio nonno corse, com'era costume di casa, la carriera militare, e poi di Corte, e fu l'amico (per quanto si può esserlo d'un re) del re Vittorio d'allora. Ebbe fama d'uomo dabbene, quantunque stesse in Corte; e siccome in questa professione nessuno può trovarsi cosí forte in sella, né tanto sapersi maneggiare che non gli tocchi spesso rischiare il capitombolo, od almeno inghiottire molti bocconi amari, il detto mio nonno s'era voluto premunire, ed aveva posto nel suo gabinetto molto in vista un'iscrizione piemontese che portava queste parole: Ai fa pa nen, cioè Non importa nulla; che però, ha un significato piú frizzante in piemontese che in italiano, ed equivale al "me ne infischio", per parlare con convenienza. Cosí, quand'egli tornava di Corte, forse coll'amaro in bocca per qualche tiro fattogli, vedendo la detta iscrizione, si dava una sgrullata di spalle, e pranzava col solito appetito. Queste cose mi raccontava Cesare Balbo.
Mio nonno morí di 57 anni, mentre stava per dar moglie al solo figliuolo che gli rimaneva, e già erano fatte le promesse.
Venendo ora a parlar di Cesare mio padre, mi trovo aver la piú sicura, la piú preziosa delle guide. Ho sottocchio un manoscritto di mia madre che ne narra la vita.
Non nascondo al lettore che, giunto al momento di dover parlare anco di lei, di dover dire dei suoi casi, citare le sue parole, squarciare quel velo nel quale essa cercò sempre tanto studiosamente di celarsi e celare i suoi atti, le sue virtú, mi sento ondeggiare nell'incertezza; provo un sentimento che neppur io so chiaramente definire.... Non sarebbe mai questa per parte mia una profanazione? Per quanto io non abbia a palesare se non tutta la divina bellezza che può splendere in un'anima umana, non v'è egli, però, in ogni cuor gentile un istinto che dice la vita della madre di famiglia e persino la memoria e l'elogio delle sue virtú, doversi tenere gelosamente racchiusi fra le mura domestiche?
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