Perciò non poteva esistere fra noi il curioso fenomeno di vedere un bambino, condotto a spasso da una sua balia, portare l'insegne di maggiore o di colonnello.
È vero però che se i nostri signori entravano nell'esercito per la porta comune, trovavano poi in seguito trattamento diverso. Presto eran cadetti, poi ufficiali; ed in ciò v'era privilegio.
Mio padre soldato, poi cadetto ed ufficiale nel reggimento della Regina, seguí le guarnigioni, l'ultima delle quali fu Cagliari. Egli era raccomandato particolarmente al colonnello ed ai superiori; "i quali (copio il manoscritto) in que' tempi facevano veramente da padre ai giovani allievi; ispirando loro i sensi del vero onore, fondato sulla fedeltà a Dio ed al sovrano, e nella probità ed elevatezza d'animo. Questo era il senso generale della nobiltà piemontese quasi tutta arruolata sotto il patrio vessillo. L'onorario dei militari era limitatissimo; lo era assai piú quello dei cortigiani, a segno che si spendea tutto per le mance e le strenne di Corte. L'onore era il gran motto nostro!..."
Ed a ciò contribuivano i principi, rispettando quello dei loro gentiluomini e contentandosi del sangue loro quando occorreva.
Dagli undici ai diciassett'anni s'esercitò e divenne esperto nel maneggio dell'arme e nelle cose militari, e scrive mia madre "...l'epoca fu questa del suo vivere la piú infelice (dicea egli stesso!)...." e ciò perché in quegli anni, giovane vivace, di calde passioni, visse da giovane!
A diciassett'anni nominato scudiere del duca d'Aosta dal re Vittorio Emanuele padre suo e di Carlo Felice, fu richiamato a Torino per tale servizio.
Ecco in quali termini il manoscritto parla di quel giovane, il quale giudicava tanto severamente se stesso in quell'epoca della sua vita: ".... Non tardò a farsi conoscere nelle piú scelte società e dalle dame brillanti di quel tempo: era amatissimo in famiglia, piú che fratello, amico sviscerato del suo maggiore, tenerissimo per la sorella e per la matrigna, di nome, ma piú che madre per la tenerezza verso i figli del marito.
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