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      Anche questa cura ebbe felice fine, e mio padre guarí. A tempo appunto per entrare a parte delle lunghe guerre, come delle varie vicende dello Stato, che soltanto nel 1814 dovevano aver breve tregua, per ricominciare poi nel Ventuno e via via seguitare, finché piacerà a Dio di darci stabile ordinamento.
      Non essendo mio proposito scrivere storie, tanto meno queste già scritte e note generalmente, non narrerò le guerre che sostenne allora il Piemonte contro l'invasione francese.
      Pur troppo mi tocca dire il Piemonte; e non posso aggiungere: coi rimanenti Stati d'Italia; i quali pure avevano con lui comuni i timori, le speranze e i pericoli. Ma tutti, invitati ad una lega, la respinsero. Napoli solo accennò a qualche velleità d'accostarvisi, che poi terminò in nulla. Quei governi però che non avevano spontaneamente voluto unirsi contro il pericolo, vennero poi, come accade, uniti per forza nella comune rovina.
      Quante volte nella mia infanzia udii mio padre narrare di quest'abbandono del Piemonte alle sole sue forze! Nessuno piú di lui detestava l'invasione straniera; nessuno piú di lui perciò detestava la secolare discordia italiana.
      Rotta la guerra nella contea di Nizza, il conte di Sant'André, di famiglia nizzarda, ebbe il comando in capo di quel corpo d'armata e nominò mio padre suo aiutante di campo. Egli fece seco due campagne. Poi venne mandato nella valle d'Aosta, ove ebbe il grado di tenente colonnello del reggimento Vercelli.
      Qui son costretto con mio rossore a confessare che poco conosco i fatti militari di mio padre, salvo l'ultimo che narrerò or ora; soltanto so in complesso ch'egli era tenuto, come già dissi, eccellente soldato. Egli non parlava mai di sé per lodarsi; e rarissime volte ci ha narrato qualche episodio delle sue vicende d'allora.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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