Mi narrava mio padre d'un giovane che avea conosciuto per uom religioso e dabbene, e che un giorno gli si presenta coi capelli ritti, lo sguardo errante e furioso, e gli grida: - Monsieur, je viens de tuer celui qui a fait guillotiner mon père! - Monsieur, vous n'êtes pas chrétien! -, rispose a quel forsennato mio padre.
Ma, mentre egli trovavasi in queste strette di miseria, mia madre in Torino stava in ben piú tristi condizioni e piangeva il marito per morto.
Nel fatto d'arme ov'egli era stato preso, i nostri avevano, come dissi, ceduto il campo di battaglia, che i Francesi occuparono portandosi avanti. Non vi fu dunque verificazione possibile di morti e di feriti. Fu creduto al detto di chi si era trovato al combattimento, o vi s'era dovuto trovare; e purtroppo (mi duole doverlo dire d'un ufficiale piemontese) vi fu un tale che per mostrare d'essersi messo nella battaglia avanti quanto mio padre, narrò ed affermò essere questi stato colpito da una palla nel petto, e che, mentre egli cercava sostenerlo, n'avea toccata un'altra nella fronte per la quale era caduto a terra morto.
Non potendosi creder possibile tanta ribalderia in un ufficiale, gli venne prestata piena fede: il rapporto portò fra i morti il tenente colonnello Cesare d'Azeglio, e mia madre ricevette l'avviso che suo marito combattendo fra i primi, era onoratamente rimasto sul campo.
(Quando noi tre suoi figliuoli, Roberto, Enrico ed io si prese servizio, nostro padre ci costrinse a dargli la nostra parola d'onore che giammai avremmo fatto ricerca di quello sciagurato né del suo nome, che non volle svelarci mai).
Mia madre era in quel tempo gravida di mio fratello Enrico e l'impressione che ricevette da quest'annunzio fu una delle cagioni che dissestarono la sua salute e la resero in seguito sempre infermiccia.
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