Parlerò di lui piú innanzi; poiché la natura sua schietta, affettuosa, infelice, si può studiare ed analizzare con profitto. Può offrire utili esempi, ai giovani, e questo è sempre la mira per me più importante.
Enrico non fu l'ultimo dei nati; l'ultimo fui io; ed ecco giunto il momento in cui mi conviene pure parlare di me, ed accingermi a ripetere continuamente quell'io fastidioso, che in conclusione è poi sempre per tutti il personaggio piú difficile a maneggiare.
Ma s'io pur voglio mandare il mio disegno ad effetto, questa difficoltà bisogna incontrarla. Incontriamola dunque senza tanti discorsi.
Io nacqui il 24 d'ottobre 1798 nella nostra casa di Torino in via del teatro d'Angennes, nella camera gialla del primo piano, dove son nate parecchie generazioni dei miei. Fu mio padrino il cardinale Giuseppe Morozzo, allora monsignore, e mi venne posta questa filza di nomi: Giuseppe, Maria, Crisostomo o Gerolamo, Raffaele, Massimo, dei quali l'ultimo m'è rimasto.
Mia madre mi serví da balia; e di qui cominciò quella catena di benefizi dei quali, finché visse, venni, con instancabile sollecitudine, costantemente colmato da lei.
Dopo il trattato di Parigi del maggio 96, mio padre s'era ritirato dalle cose pubbliche, dedicandosi alla famiglia ed alle cure delle sue faccende domestiche, le quali, nelle vicende e nelle guerre degli anni scorsi avevano di molto scapitato. La casa nostra, già assai ricca, ora venuta ora in qualche strettezza. Nell'altre parti d'Italia ho piú volte udito deridere noi Piemontesi, perché, i signori in ispecie, siam poveri. Ma bisogna pensare che: 1) su chi non ha, non cade, se non altro, il sospetto del male acquistato; 2) che ad ogni guerra -e ve n'era soventi, e a quasi tutte il Piemonte ci aveva la parte sua -, la prima cosa pe' signori, il Re dando l'esempio, era il fare un repulisti di quanto v'era di valsente in casa, onde supplire alle spese.
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