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      Questa scena è uno dei primi fatti dei quali abbia memoria un po' chiara.
      Ricordo altresí che frequentavo la casa d'Albany. Mi ci conducevano la domenica mattina e la Contessa ascoltava alcuni versi da me imparati fra settimana, la di cui recita era immediatamente seguita dalla sua ricompensa. Ancora vedo l'ampia circonferenza di quella celebrità, tutta in bianco, col gran fichu di linon alla Maria Antonietta, salire su una sedia onde por mano alla scatola di torroni posta sul piano piú alto della sua libreria.
      Dopo il torrone veniva un pezzo di lapis ed un foglio di carta per scarabocchi, e mi ricordo (memoria felice!) d'un disegno col quale volli rappresentare la flotta greca in partenza per Troia! Pezzo allora molto applaudito. Se non son diventato gran poeta o gran pittore, non è dunque per difetto di mecenati né d'incoraggiamenti precoci.
      In seguito poi la Contessa istituí una società di ragazzi ogni sabato a sera; e vi ci radunavamo noi, i Balbo, i Ricasoli da Ponte alla Carraia, gli Antinori e la ragazza Antinori, che era un sole, maritata dipoi né Rinuccini e madre delle marchese Laiatico e Triulzio, ora viventi. Ci venivano le Torrigiani, le Santini, i Prié, le Del Borgo. Se chiudo gli occhi, vedo, come fosse ora, il camino in faccia alle finestre, ed accanto, su un seggiolone, la contessa d'Albany col solito suo abito alla Maria Antonietta. Vedo alle pareti due quadri di Fabre: l'uno, l'ombra di Samuele colla Pitonessa e Saulle; l'altro, un soggetto preso dagli scavi di Pompei. Vedo le finestre ad arco tondo di Lung'Arno con tre scalini, sui quali seduto, mi beccavo un gelato e due cialdoni, razione fissata a noi bimbi dalla Contessa. Vedo mio padre in crocchio politico con M. Lagensverd, ministro di Svezia, col Carletti, col Libri; vedo due gran canapè dai due lati sotto i quadri, col fusto bianco e oro, coperti di marrocchino rosso: li vedo, e quasi potrei dire li sento, perché le due ultime ragazze Del Borgo, solite a perseguitarmi, si divertivano a mettermici seduto; e mentre l'una mi teneva per le gambe, l'altra mi tirava indietro di sotto il canape, onde non cadevo in piedi.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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