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      Al punto che non potendo metter dubbio sull'affermazione di mio padre, quasi temerei che la Clementina avesse preso un altro in iscambio... Del resto, poi, non v'è nulla d'impossibile. Quel che è certo, è che se Alfieri avesse creduto bene di prender Pasqua, era muso da prenderla alla barba di tutta l'Enciclopedia con Voltaire in testa. E per questo serve aver carattere.
      Nella sua breve ed ultima malattia fu chiamato il padre Canovai delle Scuole Pie. Egli si credette minacciato di grave responsabilità, ebbe Dio sa quali paure, e volle andar prima dal Vescovo per sentire come s'avesse a regolare. Ma tardò troppo; e quando finalmente il Canovai entrò in camera dell'infermo, lo vide abbassare il capo; credette fosse un saluto, ed invece era la morte di Vittorio Alfieri. Cosí mi narrava mio padre.
      Trovo nel manoscritto a questo proposito le seguenti parole: "Gravissimo cordoglio fu per il medesimo (mio padre) il trovarsi nelle camere di Vittorio Alfieri, e non potergli provare ne' suoi ultimi giorni l'amicizia cristiana che gli portava, e che sarebbe certo stata argomento d'eterna riconoscenza per l'Alfieri. Ma... i giudizi di Dio sono profondi ed inscrutabili!"
     
     
     
      CAPITOLO V
     
      L'educazione di noi figliuoli era divenuta per mio padre il primo ed il piú grave dei pensieri, ora che gli veniva assolutamente tolto il poter servire il Re ed il paese. Il collegio Tolomei di Siena avea nome di buon collegio, e vi vennero collocati i miei tre maggiori, Roberto, Prospero, Enrico. Io, come troppo piccino, rimasi in casa. La sorella Melania era a Torino colla nonna, Metilde entrò a Ripoli, di dove uscí dopo non molto e ritornò con noi. Venne a vivere in famiglia, onde esserle maestra e compagna, la figlia d'un antico impiegato nizzardo, il cavalier Biscarra.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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