Avea nome Teresina, e maritata poi ne' Rimediotti, è tuttora vivente, e la piú antica delle mie amiche, poiché ebbe per me bambino affettuose premure.
Le cure dei nostri genitori eran dunque tutte rivolte alla mia sorella e a me. Essa avea un carattere docile, tranquillo e dolcissimo. Il mio era vivace assai ma altrettanto buono. Né allora né in seguito per anni ed anni ebbi in cuore fiele contro persona al mondo. Né, credo, l'avrei avuto mai, se non era la maledetta politica! Posso però dire francamente che se per essa provai tal volta indegnazione o malanimo, grazie a coloro che prendono l'Italia come una coperta onde aver sotto libere le mani a procacciare per le loro avarizie, cupidigie, ambizioni e vanità; gli è altrettanto vero, e lo posso asserire sul mio onore, che il senso dell'odio non l'ho provato mai contro anima viva; e sí, che non è mancato chi me l'ha tirate e me n'avrebbe dato motivo.
In questo però non ho il minimo merito: la Provvidenza ha voluto farmi cosí.
I nostri due caratteri non erano, come si vede, dei piú difficili a condursi: le cose in casa andavano senza scosse, e fra Metilde e me, benché essa avesse cinque o sei anni di piú, passava buonissima armonia.
Una sola circostanza turbava la felicità della famiglia; ed era lo stato già fin d'allora poco felice della salute di mia madre. Erano stati troppo tremendi, per un cosí gentile e delicato organismo, i colpi della fortuna. I suoi nervi, indeboliti, ne rimasero infermi per sempre; e, come sempre, producevano fenomeni strani ed inesplicati. Ora erano convulsioni e smanie, ora granchi e stirature muscolari, ora un'impossibilità per mesi e mesi di pronunciare una parola; onde le conveniva parlare a gesti, coll'alfabeto de' sordomuti: talvolta ogni strepito le cagionava un acuto dolore nel petto, tal'altra, la minima oscillazione della camera le dava trafitture eguali.
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