Non mi si dica dunque che il regolamento di casa mia era una sofisticheria superflua, ed utinam potesse diventare legge universale del regno.
In un'altra occasione l'ottima mia madre mi diede una lezione relativamente al credermi qualche gran cosa, che non iscordo, come non dimentico il luogo dove accadde. Nel gran prato delle Cascine, che ha nel mezzo il quercione e dove si facevano le corse, entrando a diritta dal parterre del Piazzone, c'è un sentiero lungo il bosco. Ero nell'angolo appena entrati, con mia madre, seguiti da un altro vecchio servitore concittadino di Pilade, benché meno eroe di lui, pure buonissimo uomo. Non mi ricordo il motivo, bensí alzai una piccola canna che avevo in mano e credo (Dio mel perdoni) che lo percossi.
Mia madre, alla vista dei passeggianti che ci attorniavano, mi costrinse a mettermi in ginocchio ai suoi piedi e domandargli perdono. Ho ancora presente il levarsi il cappello e la fisionomia costernata del povero Giacolin, che non si poteva capacitare di vedersi davanti inginocchiato il cavalier Massimo Taparelli d'Azeglio.
Non temere il dolore era un'altra delle lezioni che piú assiduamente ci dava nostro padre, ed al precetto sempre, venendo l'occasione, aggiunse l'esempio. Se ci accadeva lagnarci di qualche dolore, diceva un po' in ischerzo, ma in fondo anco seriamente quanto al senso: - Un Piemontese dopo che ha gambe e braccia rotte e due stoccate a traverso al corpo, allora, e non prima, può dire: "Veramente.... sí....non mi pare di sentirmi proprio bene".
Tanta era poi l'autorità morale che aveva saputo acquistare sull'animo mio, che non vi sarebbe stato mai caso ch'io non l'ubbidissi in tutto, mi avesse pur detto di saltar da una finestra.
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