Napoleone I non ebbe mente politica; e difatti, dell'opera sua politica, non ne rimase nulla.
Venne decretata la definitiva annessione del Piemonte alla Francia; ed a quel primo decreto che proibiva mandar figli all'estero in collegio, tenne dietro l'altro, ben piú doloroso, che costringeva i nuovi sudditi a prestar giuramento di fedeltà al nuovo padrone e ritornare in patria. Mio padre, che già un altro giuramento eguale aveva prestato al suo re Vittorio Emanuele, allora in Sardegna, gli scrisse: (cito le parole del manoscritto) "per offerirsi per sempre al suo servizio e compagno di sciagure, pronto ad abbandonare patria, sposa e figli per la vita."
Si mosse intanto solo da Firenze ed andò sino a Parma ove si fermò per quaranta giorni, che tanto penò ad arrivare la lettera di Sardegna.
Vittorio Emanuele rispose nella piú affabile maniera e con sensi di tenera gratitudine, non voler egli assolutamente accrescere il numero delle vittime della sua sventura. Che prestasse il giuramento richiesto, non volendo egli separarlo giammai dalla sposa e da' teneri figli, bisognosi piú che mai di cosí buon padre; tanto piú non essendo sicuro d'aver pane per sé e per i suoi fedeli.
Questa risposta, piena di tanto senso e di tanto affetto, afflisse mio padre, ma gl'indicò la via da seguirsi. Al re, al suo giuramento, al paese avea soddisfatto largamente, e s'era spinto sulla via del sacrificio, finché l'avea trovata chiusa da un muro di bronzo.
Pensò alla famiglia; andò a Torino e fece adesione temporanea al governo francese. Napoleone I cinque anni dopo, doveva avvedersi quanto valgano i giuramenti strappati dalla violenza e non ispirati dalla volontà.
Ma non fu mio padre tra coloro che dovevano farlo di ciò avveduto.
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