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      Comunque egli avesse data la sua fede, egli l'aveva data; e basta.
      V'era un termine stabilito dal decreto pel rimpatrio degli emigrati. Il tempo stringeva, e nostra madre ricevette dal marito un avviso che conveniva ritornare con la famiglia a Torino.
      Era la fin di decembre, e la nostra carovana, lasciando casa Pitti-Gaddi, ultima dimora della famiglia, usciva di porta San Gallo, e su pel Pellegrino s'avviava per l'erta del monte. Due carrozze contenevano, l'una nostra madre e Metilde, l'altra, piú grande, tutti noi sotto la guida d'un tal abate Moni lucchese, che sugli ultimi mio padre aveva preso, secondo l'uso del tempo. Allora, nelle famiglie nobili e pie, ci voleva il prete di casa.
      Oggidí il viaggiare in diligenza è un vecchiume. Allora non s'era ancora arrivati ad immaginar tanto sfarzo; e chi non aveva quattrini per pagarsi cavalli di posta, viaggiava coi vetturini del Pollastri, il quale empiva in quel tempo l'Europa del suo nome e dei suoi muli.
      Per dare idea della loro velocità, ricordo che una volta si partí di Pisa la mattina e s'andò a dormire all'Osteria Bianca presso Empoli; ed il giorno dipoi, prima di sera, s'entrò in Firenze.
      Viaggiando dunque del passo col quale ora viaggiano, ove non è ferrovia, i sacchi di riso, granturco e simili; e pieni gli orecchi del continuo scampanellío dei muli, per Bologna, Piacenza e Milano, dopo quindici o venti giorni, finalmente, quando Dio volle, i nostri legni entrarono nel cortile di casa Azeglio, via d'Angennes N° 19, in Torino.
      La cattiva stagione, il freddo, le nebbie lombarde e piú di tutto il dolore di dover andare dove non si vorrebbe, a porsi cioè direttamente sotto l'artiglio di uno straniero padrone in casa vostra, tutto ciò aveva reso angoscioso il viaggio alla nostra povera madre, che in ultimo se ne trovava sfinita.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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