Per la fisica, come per mettermi in capo qualche idea di numeri, d'algebra, di geometria, mio padre mi diede in cura al professor Giorgio Bidone, il quale si rese poi chiaro nelle matematiche pure e nell'idraulica.
Come si vedrà piú avanti, io dovrei baciare la terra ove quest'uomo pose i piedi. Dopo mio padre e mia madre, non v'è persona al mondo, alla quale io abbia tanti obblighi quanti n'ho a lui; ma non è ancora il momento di parlarne.
Egli sudava e s'affannava per cacciarmi in corpo, prima l'aritmetica, poi l'algebra con tutta la sequela; ma era inutile. Il cielo non m'aveva data la facoltà dei numeri. È però curioso che mentre il mio intelletto per naturale costituzione è moltissimo calcolatore nello studio dei fatti, delle cause, delle conseguenze, delle probabilità, ecc., appena compaiono cifre s'impunta, e non c'è da farne altro.
Ma ad onta di quest'inerzia del mio cervello e del poco frutto che il mio maestro otteneva dalle sue cure, egli però m'avea posto, a poco a poco, grandissimo amore. Dal suo conversare, piú che dagl'insegnamenti scientifici, io cavavo il maggiore dei profitti; quello che il mio povero prete non aveva potuto procurarmi, e che è pure primo fondamento d'ogni buona educazione; imparavo, a mano a mano, a pensare, a riflettere, a scartare le idee false, e farmene delle esatte. Il Bidone, si potrebbe dire, mi veniva raffazzonando il cervello a somiglianza dei chirurghi o delle levatrici, che al fanciullo appena nato cercano dar forma regolare alle molli pareti del cranio. Da quel tempo cominciai ad avvezzarmi a valutare gli uomini a misura d'onestà e d'istruzione, e le cose a misura d'utilità vera. Usando questa misura si può, se vi s'è chiamati, far cose nobili, grandi e profittevoli: ma, è bene saperlo prima, non fare fortuna.
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Giorgio Bidone Bidone
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