Avviso a chi mi volesse poi lagnarsi meco, che colle mie idee l'ho messo sulla via di morirsi di fame!
In questi anni trascorsi dal nostro ritorno di Firenze, mio padre avea menata vita ritirata e tutta di famiglia. Venivano in casa pochi, vecchi e provati amici del partito, ben inteso, dei cosí detti Branda (da Branda Lucioni, capobanda realista ai tempi della repubblica) i quali non hanno ora appellativo corrispondente, essendo scomparsi affatto dall'arena politica. Per darne un'idea ai giovani, i loro codini d'ora sarebbero giudicati tanti Marat da quei Branda d'allora. Mio padre, che non divideva tali scioccherie, ne rideva e noi ragazzi che ci avvedevamo benissimo delle loro balordaggini, tanto le dicevano grosse, si veniva diventando liberali, per non far mentire il contraria contrariis dell'olopatia.
Tutto questo però finiva in parole. Mio padre, e la maggior parte di quegli amici, avevano giurato di non nuocere a Napoleone, e non avrebbero voluto veder adempiersi il piú ardente dei loro voti, il Piemonte liberato dallo straniero, a patto d'uno spergiuro.
Venne l'epoca della persecuzione contro il Papa, i cardinali, i vescovi, ecc. Accaddero i fatti noti a tutti, ed il Piemonte trovandosi sul passo da Roma a Parigi, vedeva un continuo arrivare e partire d'ogni generazione di membri del clero, portati qua e là come foglie secche dal turbine di quella mente, alla quale, perduto il giudizio, non era rimasto che il talento.
Napoleone III non avrebbe fatte di queste ragazzate!
Occupazione continua e solerte di mio padre era di giovare in tutti i modi possibili a questi perseguitati; e quando, esaurite l'arti, pose mano Napoleone all'argomento favorito della violenza; e che varie prigioni, e Fenestrelle in ispecie, si popolarono di cardinali e di vescovi, mio padre, che aveva giurato non nuocere a Napoleone, ma non d'aiutarlo ad opprimere, si fece attivissimo istrumento di tutto ciò che poteva recar sollievo, conforto o speranze ai poveri rinchiusi.
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