Di Torino parlerò poi. Di Roma dirò intanto che tutto fu rimesso com'era in primis et ante omnia; che vidi tornati il Bargello colla corte, i birri, il cavalletto, la colla, ecc. ecc. ecc., con tutto quel che gli s'assomiglia.
Ma i Romani allora non pensavano a questioni politiche ed io meno di loro, onde l'aspetto della città era pieno di vita e di contentezza; ed io godevo di tutte quelle magnifiche novità coll'ardente vivacità dell'adolescenza.
Pio VII diede tosto udienza a mio padre, e lo accolse come meritava un cosí costante devoto alla Santa Sede, che aveva di fresco prestata cosí coraggiosa assistenza ai cardinali e vescovi perseguitati, e veniva mandato dal pio e affezionato re di Sardegna.
Le istruzioni di mio padre portavano di compiere, prima di tutto, col Papa, l'ufficio delle felicitazioni pel suo ritorno. Quindi di rimanere a Roma provvisoriamente ministro, finché giungesse il marchese di San Saturnino, nominato rappresentante stabile della Sardegna presso la Santa Sede.
Si prese dunque un quartiere nel palazzo Fiano al Corso; provvedendo al necessario per un po' di rappresentanza: ed eccomi, senz'essermene quasi accorto, diventato un diplomatico, un mezzo segretario d'ambasciata, un attaché. In un mese, da studente dell'università, mi trovavo in diplomazia con un'uniforme di certa guardia istituita all'arrivo del re, e datami per disimpegno; avendo traversato prima lo stadio di milite urbano.
Era forse un pronostico delle tante trasformazioni e metamorfosi che dovevo subire durante la mia lunga carriera?
In virtú della mia condizione ufficiale, mi trovavo in mezzo a tutta l'alta società romana tanto clericale quanto civile, non meno che al corpo diplomatico, il quale appena si stava formando; avendo allora tutt'i governi tanto da fare per le mani, da non potersi occupare seguitamente di veruna cosa.
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