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      CAPITOLO X
     
      Secondo il sistema d'educazione di mio padre, non si doveva mai perder tempo. Si doveva poi cercare sempre, nell'impiegarlo, il modo piú opportuno dell'occasione presente. Nella nostra condizione, certamente il piú opportuno di tutti era imparare a conoscer Roma, profittando dell'occasione. Con questo intendimento se ne fece il giro, prima con un antiquario, che fu il signor Visconti, figlio d'Ennio Quirino o suo nipote; poscia con un pittore, il signor Malvotti.
      La storia romana era allora accettata da tutti come ce l'avevan tramandata gli antichi, senza cercar piú in là. I bei lavori moderni di Niebuhr e di altri tedeschi, di Thierry, d'Ampère, del Micali e di molti altri sulle origini italiche, non avevano ancora, non dirò trovato il vero, ma dimostrato almeno con quanta riserva sia da ammettersi l'antico complesso di quelle istorie. Dagli insegnamenti del signor Visconti non s'ebbe quindi se non la conferma dei fatti da noi già conosciuti; e si passò tutto l'inventario delle antichità, reso lungo e minuto piú assai del bisogno per opera dei servitori di piazza, custodi, guardarobe, vignaroli e simili, al solo scopo di moltiplicare quanto è possibile l'emissione dei tre paoli dalle tasche del forestiere; si passò, dico, tutto intero quell'inventario senza lasciar indietro un mattone, ed accettando Romolo, e Clelia, e Scevola, ed Orazio al Ponte Sublicio, ecc. ecc., tutto insomma l'antico personale di quel gran dramma con una fede da mussulmani.
      L'antiquaria era ed è uno dei pochi studi possibili sotto il governo dei preti. Ci vorrebbe un bel talento a scoprirvi tendenze sovversive. Debbo però confessare che quelle venerande reliquie, dalle quali venne fecondata la mente di Gibbon e di Goethe, non produssero sul mio povero cervellino nessuna forte impressione.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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