Amavo le novità in quel tempo e non le antichità, ed il signor Malvotti era appunto l'uomo che ci voleva con queste mie disposizioni.
Con lui si ricominciò a girare Roma e i contorni sotto l'aspetto dell'arte. Si visitarono con lui tutti i musei di statue, tutte le gallerie di quadri, tutte le chiese, i palazzi, gli edifici che contenevano cose importanti o che avrebbero dovuto essere. Questo secondo giro m'interessò piú del primo. Bisogna anche dire che la persona del mentore entrava per molto nella preferenza.
Il Visconti era un vecchio dai capelli bianchi, in calzoni corti, tutto vestito di nero, con un gran cappello a tre punte che pareva un edifizio; egli non usciva mai dal suo argomento.
Il Malvotti invece era sui trenta, disinvolto, allegro, matto come in genere erano gli artisti prima dell'invenzione degli uomini seri; e parlava di tutto lo scibile, di tutto il visibile e, quando mio fratello chierico non sentiva, anco di tutto l'appetibile. I birichini s'indovinano alla prima fra loro, ed il signor Malvotti ed io, c'eravamo subito capiti senza esserci quasi parlati.
Finito questo secondo giro, Prospero cominciò a mettersi coi suoi gesuiti preparandosi a vestirne l'abito. Ed io col giulivo Malvotti, visti i quadri e le statue, si cominciò a vedere gli originali.
Qui comincia uno dei piú brutti stadi della mia vita; del quale mi vergogno, e che vorrei poter scordare.
Invece me ne ricordo come fosse adesso; soltanto, pensando a me qual ero allora, mi par proprio di pensare ad un altro; a qualche tristo mobile nel quale mi fossi imbattuto e che avessi in seguito abbandonato come cattiva compagnia.
Ed è proprio cosí, grazie a Dio: il Massimo di quell'epoca, l'abbandonai; mi spogliai di lui, come d'un'abito imbrattato, quattro o cinque anni dopo.
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