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Non v'è cosa che faccia prendere piú in tasca la gente che il vedersi, per causa loro, costretti a fare una cattiva figura. Per tutto questo accumularsi d'ingiustizie e di scioccherie, per le piccole vessazioni delle quali eravamo segno, ed erano frutti o d'un esagerato principio monarchico, ovvero di bigottismo, il mio entusiasmo del giorno che in piazza Castello vidi comparire il Re, si era infinitamente raffreddato, e la mia simpatia per tutto quel sistema, scomparsa interamente. Non basta. La conseguenza finale fu di concepire un odio profondo per la nobiltà, che nel governo vedevo in prima fila; e sfido tutti i borghesi di Torino d'una volta, ad averne provato la metà.
E non solo odiavo la nobiltà, ma mi disperavo d'esser nobile io, ne arrossivo, e quando era possibile, lo nascondevo. Un giorno a Fossano mi feci passare per figlio di Monsú Aragn fattore nostro a Lagnasco, ed ero beato!
Qui bisogna che lo dica: Iddio per sua bontà volle piantarmi in cuore l'amore della giustizia e l'odio contro l'ingiustizia e la soverchieria. Egli mi diede l'amor del giusto, come m'ha dato il temperamento sanguigno-nervoso, il pelo biondo (quondam) e gli occhi chiari. Non ci ho nessun merito e non potrei essere altrimenti, quando lo volessi. Perciò dico liberamente che l'ingiustizia l'odio sempre, in ogni occasione, a chiunque giovi, a chiunque noccia; l'odio se giova ai nemici; l'odio se giova agli amici; l'odio se giova a me stesso; l'odierei, se giovasse alle persone che ho al mondo piú care o all'adempimento del mio desiderio piú ardente, vedere l'Italia fatta davvero!
Ciò detto, si capirà la mia profonda desolazione d'esser nobile, mentre conoscevo benissimo che nessuna forza al mondo poteva mai distruggere questo fatto; quindi la mia sventura non aveva rimedio.
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