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      Invidiavo quelli che non si trovavano percossi da uguale disgrazia, stimando immensa la loro felicità.
      Il lettore forse crederà che mi prendo gusto ed esagero. Gli do la mia parola che non aggiungo un et, non esagero.
      Ma allora credevo che la nobiltà venisse giustamente odiata per le sue soverchierie e che sola ne fosse capace; credevo che, nemmeno ammazzarli, quelli che ne dicevan corna, non avrebbero voluto diventar cavalieri e conti! Furbo!
      Se avessi saputo allora, come ho scoperto dipoi, che la democrazia è uovo il quale per pulcino produce un conte, non me la sarei presa tanto calda.
      Queste mie esagerazioni venivano da un buon sentimento, l'avversione ad un ingiusto ed immeritato privilegio: soltanto la mancanza d'esperienza mi faceva credere che il vizio del soverchiare fosse attaccato alla nobiltà. Vivendo ho poi imparato che è attaccato alla umanità; e che l'uomo, quando ha il coltello pel manico senza nessuno che glielo contrasti e lo tenga in cervello, se ne serve per mettersi il suo pari sotto i piedi, e farlo diventar dispari. La conseguenza di ciò si è che nessuno, in un governo ben regolato, dev'essere irresponsabile: né individui né classi: quindi non privilegi: quindi eguaglianza perfetta davanti alle leggi.
      Ma il re, dirà lei, è, e dev'essere irresponsabile. Vero. Ma direi piú esattamente, è inviolabile la sua persona. Poiché suppongo un conflitto della corona cogli altri due poteri: all'ultimo, ove questi non cedessero, e sarebbe molto probabile che avessero ragione, che farà il sovrano? Certamente può mandar un battaglione a chiudere il parlamento e mettersi le chiavi in tasca. Ma, e dopo? E non è questa una responsabilità?
      Se il mio disprezzo pel governo di quel tempo ed il mio abborrimento per la nobiltà erano prodotti d'un buon principio, si resero però produttori d'una cattiva conseguenza.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890