Non fu male acuto di febbre, né da star a letto: ma un grand'urto di nervi. Prima ero colorito in viso; dopo, bianco color di cera; di piú, secco come un uscio, coll'anelito corto che mai potevo andar fino in fondo d'un respiro, e tirar il fiato a modo mio; e finalmente un palpito quasi continuo, ché dopo mangiato, in specie, mi pareva sentire il cuore saltarmi fino in gola.
Si può dunque figurare! Addio studio, addio dipingere e leggere e scrivere, addio tutto! e condannato a grattarmi il corpo tutto il giorno colla smania addosso piú che mai di lavorare! Fu una gran passione!
I miei parenti conoscendo che questa volta, se avevo fatto disordini e se ne soffrivo, erano stati virtuosi disordini, se la presero a petto, e mi fu messo d'intorno medici e tutto l'occorrente. Ma, primo precetto, non far niente! Era un seccarsi feroce. Bidone mi confortava, mi teneva compagnia, ed intanto seguitavo a curarmi: ma con poco profitto. Col tempo mi rimisi in salute, e potei di nuovo occuparmi a lavorare; ma dal palpito, come dalla mancanza di respiro non mi liberai che dopo moltissimi anni, e qualche volta ne ho dei cenni anche ora. Mi persuasi avere un vizio organico. Stavo tutto il giorno col polso in mano a contare i battiti. Tutto quest'insieme era poco allegro. M'accorsi che mi invadeva la malinconia, e feci un'altra risoluzione perentoria, fondata su questo ragionamento: o il vizio organico c'è, e non me lo leverà nessuno; o non c'è, ed è pazzia tormentarsi.
In ambo i casi la meglio è non pensarci, e non piú toccarsi i polsi, non ascoltarsi, né affannarsi per tutti i piccoli incomoducci che si sentono. Cosí risolsi, cosí feci, e cosí ho fatto sempre in appresso, e me ne sono trovato a meraviglia.
| |
Bidone
|