La prima fermata (Piacenza, mi pare) ci dette qualche pensiero: ella si trovò stanca assai, sfinita, e pareva dubitasse di riuscire nell'impresa. Ma il riposo della notte la ristorò. La mattina dopo, era un'altra. Vispa ed allegra ci disse - L'affare cammina. partiamo.
Monsignor Morozzo aveva fatto cercare d'un quartiere e vi s'andò a smontare. Era in piazza Colonna dirimpetto a Chigi, al primo piano, in casa di certo abate Natali. Era costui un monsignor di mantellone, preposto all'ufficio de' pesi e misure, ed era vecchissimo.
Ebbi presto un saggio del nuovo ambiente nel quale ero entrato e della differenza dal nostro. Una notte s'era sentito un po' di sussurro in casa: la mattina ci alziamo: che è successo stanotte? - Sono venuti a prendere l'abate Natali, e l'hanno portato carcerato in Castello - cosí rispondono i vicini. Diavolo! un prete! un alto impiegato! un vecchio! Pareva impossibile.
Nientemeno, si seppe poi, questo disgraziato aveva commesso un falso in materie d'ufficio!
Questo fatto mi colpí immensamente. - Gli alti impiegati, i preti, i vecchi ne fanno di queste, - dissi, - a Roma; e s'espongono a ottant'anni a finire in galera, o un quid simile! Figuratevi gli altri!
Mentre stavo per incominciare i miei studi, m'ammalai di febbre gastrica. Mi durò quindici giorni, e fu la sola malattia di carattere che avessi mai sino ad oggi. Questa gastrica non minacciò con sintomi gravi: mi lasciò soltanto una gran debolezza, ed una grandissima fame, che il medico m'impediva di soddisfare, e mi era un vero tormento. Quanto bene capii allora la condizione di chi non la può soddisfare neppur da sano!
L'inverno che tenne dietro al nostro arrivo in Roma, lo passai lavorando con costante assiduità, ma senza buona direzione.
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