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      A misura che scrivevo, le mostravo i miei parti, ed essa vi trovava argomento di sottili critiche, ed ingegnose osservazioni. Allora, come sempre, non seppi né giovarmi di questo bene come potevo, né essergliene grato come dovevo.
     
     
     
      CAPITOLO XIV
     
      A metà dell'inverno mio fratello Enrico, che aveva un congedo limitato come ufficiale d'artiglieria, partí per Napoli, per non perdere l'occasione che l'aveva condotto in tanta vicinanza di quell'interessante paese.
      Dopo qualche settimana impiegata a fare il solito giro delle curiosità e dell'anticaglie, egli s'ammalò: e pochi giorni dopo, due signori piemontesi amici di casa, i cavalieri di Germagnano che erano a Napoli, dovettero scrivere a mia madre, aggravarsi la malattia ed esservi seri timori che volgesse sinistramente.
      Si trattava d'urgenza; e mia madre mi spedí immediatamente per Napoli. Partii la sera con il nostro legno solito in posta. Era il tempo de' briganti. Mia madre ne stava in pensiero, ed alla borsa delle spese di posta aggiunse il valore della scorta. Io feci il mio conto, che quei soldi m'avrebbero servito molto piú piacevolmente a Napoli, e che si poteva tentare la fortuna. La tentai e m'andò bene; non vidi briganti, e giunto in Napoli vidi invece un mucchietto di scudi disposto a prestarmi i suoi servigi. Pur troppo furono in mano a Barbaia, per la larga via della collina e fossero bastati!
      Trovai Enrico migliorato, e presto uscí dal letto. Lo veniva a trovare un giovane di Macerata col quale avea fatto relazione, e che anch'io cominciai a conoscere. Si occupava di musica e di disegno ancor esso, ed era il marchese Domenico Ricci. Da Napoli in là non ci incontrammo mai piú; né mai piú seppi che cosa fosse di lui: fino ad un giorno del 1852, nel quale mi venne a domandare la mano di mia figlia Alessandrina per suo figlio Matteo: parentado che fu felicemente concluso.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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