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      ); ma io ero e sono fatto cosí e non posso sentire altrimenti.
      Questo penoso pensiero svaní quasi del tutto dal '48 al '59. Dal '60 in qua s'è in parte ridestato e prende forza di nuovo sull'animo mio: non siamo l'ammirazione dell'Europa, bisogna dirselo. Perciò vivo da me.
      L'imperatore d'Austria venne a visitar Roma, e si può figurarsi se mi passò pel capo di lasciar Castello per andare a godere delle feste! Mi sarei piú volentieri cacciato nel folto della macchia della Faiola, vastissima selva che dal lago d'Albano veste il dorso dell'Appennino per centinaia di miglia, e che è quasi una foresta vergine all'uso d'America.
      L'accoglienza che ebbe l'Imperatore dal Papa e dai Romani fu invece splendidissima. Questi erano allora ben diversi da quel che sono oggi, e potevano con tutta cordialità dirigere a Francesco imperatore quel verso di Dante, che ora soltanto la Curia romana reciterebbe volentieri se potesse:
     
      Cesare mio, perché non m'accompagne?
     
      Bisogna poi anche osservare a giustificazione del mondo, nonché de' Romani, che allora l'Europa tutt'intera, dopo venti anni di stragi, desolazioni, invasioni, ruberie repubblicane, ruberie imperiali, ruberie straniere, ruberie locali, ruberie francesi, ruberie tedesche, russe, cosacche, kirghise, tartare e che so io, ne aveva proprio piú su de' capelli, voleva che fosse finita, voleva vivere: vivere in pace; fosse sotto un re, fosse sotto un Papa, o un imperatore, o un diavolo, poco importa, pur di poter respirare.
      Ma io che di tutti questi malanni poco me n'ero potuto accorgere, essendo accaduti durante la mia puerizia, non provavo quest'immenso bisogno di stare a sedere: portavo invece in me i prognostici della generazione nuova, e dell'opere sue.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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