Se accettava scolari, intendeva che si prestassero gentilmente a fargli anche un po' da servitori.
Quest'idea non mi dispiaceva poi tanto. Ci trovavo un certo che di patriarcale e di bonaccio, che escludeva ogni aspetto umiliante. Io non so nulla, egli ne sa assai: io ho bisogno di lui, egli non ha bisogno di me; il mio fine non è né l'interesse né l'ambizione ma l'arte.... E poi, devo confessarlo, nella mia natura uno spruzzo del Don Quichotte c'è. Nel modo che a questi pareva d'essere un camerata di Tristano o Lancillotto, a me pareva d'esser uno de' tanti allievi delle antiche scuole, i quali erano di casa del maestro, facevano ogni cosa per lui, e lo tenevano qual padre, ed anche qual padrone.
Per due o tre anni ho quindi, non dico spazzato o portata l'acqua, ma aperto l'uscio di casa quando si picchiava, ricevute e fatte ambasciate, portati quadri, e prestati in fine tutti quei servigi, che, se erano al di sopra d'un servitore d'ultima categoria, potevano però stimarsi al disotto d'un discendente di tanti eroi, come d'un presidente del Consiglio in erba.
Che ne dice? facevo bene? facevo male, accettando di essere scolare all'uso antico di Giotto, Masaccio e simili; quando i pittori avevano bottega, famigli e fattorini come i pizzicagnoli?
A ogni modo v'è un'osservazione che può militare in mio favore. Se ho fatto il servitore per amor dell'arte, non l'ho fatto, vivaddio, mai per essere aiutato a salire su per quell'albero di cuccagna in cima al quale, invece di salami e capponi, sono appese croci, gran cordoni, diplomi di conti e portafogli di ministro. E mi sembra in coscienza che il peccato di servilità non sia quello che mi metterà in guai il giorno del Giudizio.
Per esser fedeli alle tradizioni artistiche, di quando in quando si prendevano poi delle piccole vendette contro il selvaggio maestro.
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