Mi si ravvolgeva però nell'animo l'idea d'aggiungere lo scrivere al dipingere, e mi rimaneva soltanto a decidere su quale argomento, con quale scopo, con qual lingua e con quale stile: affare di poco! Ne parlavamo sovente con Bidone mentr'ero a Torino.
Anche qui egli mi diceva per solo consiglio: - Scriva! - Ma su che? - - Scriva! - Ma con che stile, con qual lingua? - - Scriva! - Ma - dicevo io in ultimo, - se non c'è, si può dire, né lingua né prosa leggibile in italiano! - Non c'è? se ne inventa una apposta!
Era presto detto. Però mi rodevo di non trovar via per giungere ad una decisione che mi contentasse. Pensai: studiamo intanto, e pensai bene. Finché rimasi a Roma, il problema dello scrivere rimase intero. Non dovevo scioglierlo bene o male se non molti anni dopo, e per allora ne sospesi la discussione, dicendo: "studiar dal vero e scrivere, tutt'in una volta non è possibile." E non avevo poi tanto torto.
Ma il mio povero cervello batteva le sue alette piccine come quelle del pileo di Mercurio, anche oltre i campi dell'arte e della letteratura.
Beati quelli che venuti al mondo restano dove furono partoriti, sorridono al cielo, alla terra, agli uomini ed alle bestie, inghiottono quello che vien loro messo in bocca o nel cervello, e lasciano a suo tempo il mondo come l'hanno trovato!
E poveretti invece quegli altri che appena fuor del guscio, come il pulcino mette fuori il suo timido pipipí, cosí essi, data appena un'occhiata in giro, mettono fuori quell'insaziabile perché? E cominciano a dimenarsi, a correr paese, a pesare, esaminare, confrontare, ricercare, frugare. E poi? Anch'essi lasciano il mondo.... No, no, vivaddio, non sempre lasciano il mondo come l'hanno trovato.
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