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      Ripensando al passato, mi par di vedere che per la sincerità appunto del mio cuore, e per l'intero abbandono fatto di me, sono spesso venuto a noia: e pur troppo ho finito per sospettare che poche donne possono veramente e lungamente amar d'amore un galantuomo. Forse la colpa è piú del galantuomo che di loro.... Malgrado tutto questo, l'impressione che serbo di quanto ho provato e veduto, è che generalmente le donne valgono meglio degli uomini. E se ho dovuto molto soffrire per loro cagione, ho però trovato una volta il compenso d'un affetto che mai non mi venne meno, e sempre si mantenne indipendente da ogni qualsiasi vicenda. Chi può dire altrettanto, si contenti. Non molti lo possono.
      E con ciò chiudo la partita Amore, e n'ho detto anche troppo; non mi fo nessuna illusione circa le conversioni che dovrebbero essere il frutto delle mie sagge riflessioni. In tutto, e in ispecie in amore, chi non vuol provare da sé?
      Provate dunque, giovanotti; e cosí fra cinquant'anni potrete poi far la predica a chi verrà dopo, come la fo io ora a voi... e forse... col medesimo frutto. Dio mel perdoni!
     
     
     
      CAPITOLO XVI
     
      Nella primavera del 1820 i miei parenti lasciarono Roma, con loro mi ricondussi a Torino. Si tenne la strada dell'Umbria e della Toscana; da Firenze per Bologna si giunse a Modena. Qui ci fu fermata. Mio padre dovette andare a far riverenza al Duca, che allora non aveva acquistata quella notorietà di direttore di polizia coronato (e potrei servirmi di frase meno civile) che ebbe in appresso. Ma sempre era un arciduca d'Austria, che col mezzo del nome di casa d'Este, cercava farsi accettare; era sempre uno dei sostegni di quella trista genía che opprimeva il mio paese. Per fortuna non avevo meco uniforme.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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