L'estate del '20 la passai in gran parte in villa seguitando i miei studi dal vero. Il conte Benevello col quale villeggiavo, ora a Saluzzo, ora al suo castello di Rivalta, era anch'esso appassionato per l'arte. Pieno d'immaginazione, con squisito senso del colorito, fecondo in idee nuove e spesso bizzarre; d'un'insaziabile curiosità di spirito che lo spingeva a provarsi in ogni ramo dello scibile, quindi d'un'estesa piú che profonda coltura, schietto, semplice, buono nelle relazioni giornaliere, io lo ricordo come uno de' miei migliori e piú simpatici amici.
Egli disegnava, dipingeva, ora figura, ora paese, effetti di notte, di vapori, di nebbie; non dico che facesse assai bene, ma faceva: come in genere nella sua, e posso dire quasi nostra generazione, tutti qualche cosa armeggiavano; tutti provavano un bisogno d'azione, tutti si sentivano spinti a cercare qualche via di distinguersi per quella potente e generale scossa elettrica comunicata alla sua epoca dall'instancabile attività di Napoleone. Allora in Piemonte fiorivano Balbo, Peyron, Plana, Bidone, Sauli, Sclopis, Provana, Collegno, Vidua, Santarosa, che tutti corsero piú o meno splendide carriere: Benevello per gusto d'arte, per desiderio d'istruirsi, e far che altri s'istruisse, per gli aiuti prestati onde promuovere gli studi, può aver luogo fra loro.
La sua casa era aperta agli uomini di tutte le scienze, e tutte le colture. Le prime esposizioni di quadri furono ospitate in una sala ch'egli aveva apposta fabbricata in casa sua e che imprestava gratuitamente. Egli dispose studi per pittori su nell'alto della sua casa. Fatto inaudito che un padron di casa torinese combinasse una sua soffitta in modo da offrire luce e spazio per dipingervi un quadro.
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