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      Ma io a questo cervello sociale non volli proprio ricorrere, e volli, come ho già detto, pensare col mio.
      Alla risoluzione presa, grazie a Bidone, di lasciare la vita scioperata e mettermi a far qualche cosa, mio padre e mia madre, com'è naturale, avevano applaudito. N'era venuto il viaggio ed il soggiorno a Roma, durante il quale io non avevo punto smentito il mio proposito: avevo studiato, lavorato, non avuto piú nulla che spartire con compagnie sospette (era il tempo nel quale riescii ad incatenare interamente le piú potenti tendenze d'un giovane sui vent'anni), ma non per questo mio padre aveva voluto che fossi interamente sciolto da' miei legami colla carriera militare.
      Com'è naturale, egli temeva sempre che que' miei furori artistici fossero un fuoco di paglia, e che mi trovassi un giorno perduta la mia anzianità ed il mio posto nell'esercito, senza compenso corrispondente.
      Ora però era venuto il momento d'una risoluzione definitiva: o riprendere il servizio come carriera, o sciogliersi affatto da ogni legame, per poter seguir l'altra dello studio e del lavoro libero ed indipendente.
      Io persistevo nelle mie risoluzioni. I miei parenti titubavano sempre, pensando che alla mia età mandarmi solo, senza direzione, senza nulla che mi tenesse in freno, in una città come Roma, a coltivare per l'appunto quell'arte che mette un giovane nelle piú bizzarre, piú allegre, piú sbrigliate compagnie, ed altrettanto piú pericolose, fosse un giocar me, la mia salute, il mio morale, il mio avvenire, come si suol dire, a arma o santo (face ou pile). Io allora mi impazientivo di tanti dubbi, di tante paure. Ora sento al cuore l'ingrata ingiustizia di quelle mie impazienze; ora comprendo quanto cotali sospetti fossero naturali in chi conosceva la mia natura, e m'amava tanto svisceratamente come mio padre e mia madre.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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