CAPITOLO XVIII
Il cognato di Verstappen col quale mi ero trovato parecchio tempo nel suo studio a lavorare, scelse anch'esso il medesimo soggiorno per le medesime ragioni. Eravamo tutti e due candidati paesisti, tutti e due giovani, e tutti e due con pochissimi quattrini; abbondavano perciò i motivi di far insieme compagnia, e si rimase d'accordo di aspettare che Martino fosse sistemato, avesse preso casa, per arrivargli addosso all'impensata. La nostra visita non entrava certo nei suoi piani, e senza le intelligenze che avevamo coi suoi parenti, ci sarebbe stato difficile, una volta uscito dalle porte di Roma, scoprire ove fosse. Volevamo quindi lasciarlo posare prima di entrare in scena, per timore che prevenuto, se la svignasse senza che noi potessimo seguitare le sue tracce.
Venne finalmente per lui il giorno della partenza, ed appena si fu ben sicuri ch'egli aveva piantata casa, venne anche per noi. Partiti da Roma la mattina presto, s'andò a dormire a Nepi. L'oste aveva per soprannome Veleno, ed è l'originale dell'oste che introdussi poi nell'Ettore Fieramosca. La sua osteria non era meglio tenuta di quella di Barletta; si può giudicarne da quest'incidente.
S'era andati a letto, e addormentati da un pezzo in una cameraccia su in alto, quando ci sveglia a un tratto un chiasso di cavalli, sonagli, grida, e ci accorgiamo che erano nuovi forestieri. Mentre si cerca riaddormentarci, picchia all'uscio nostro la serva, gridando pel buco della chiave: - Dice lo padrone, che ci occorre le materasse per quelli forestieri -. Temo assai che nella nostra risposta non fosse tutto quel rispetto che si deve sempre al bel sesso; ma non me ne ricordo. Bene mi ricordo che vi fu trattato, circa i materassi, che durò un pezzetto, e che fu rotto soltanto quando divenne evidente che ci saremmo difesi sino all'ultimo prima di cedere.
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