Non ho mai veduto un piú ricco tesoro di bellezze naturali per lo studio di paese.
A Nepi comincia a sprofondarsi uno di questi burroni, e a due miglia circa, sul ciglio a sinistra siede Castel Sant'Elia, paesetto di cinquecento anime, distribuite in vecchie case o catapecchie; sulle quali il tempo, la malaria ed il vento marino hanno stesa quella patina medesima che colorisce cosí robustamente le rocce che sostengono, e che mal si distinguono da loro.
Venendovi da Nepi s'entra per una strada larga formata da due file di case di desolata apparenza. Quelle a man ritta sono proprio sull'orlo del gran burrone, e le loro finestre s'aprono su uno sprofondo d'un centinaio di metri a filo di piombo. Seguendo la strada, dopo cento passi si trovano sul terreno piano le tracce d'un fosso e d'un recinto che contornava l'antico castello, collocato su una rupe che pel subito voltare della scogliera fa gomito e s'alza isolata. Questa rocca era il feudo della famiglia de' conti Panimolli, rappresentata allora da un ultimo e curioso originale. Egli merita pur menzione.
Questo capo d'opera, uomo di società per eccellenza, abitava Roma. Non c'era casa, non c'era signora, ch'egli non conoscesse, e per la maggior parte non frequentasse: era di tutte le conversazioni, i balli, le feste; di tutti i pranzi, delle grandi case romane specialmente, ed altresí de' forestieri e della diplomazia; da tutti ben veduto e ben accolto perché nessuno ebbe mai da fargli un rimprovero; anzi ognuno aveva a lodarsi di lui. Uomo servizievole, d'aiuto, e di ripiego nelle occasioni; sapendo tutti gli affari, i segreti, le nuove, i pettegolezzi, i matrimoni, gli amori, le storielle, ecc. ecc., e non mutando mai né viso né umore, e nemmeno, pareva, il vestito, sempre tutto nero, e un pò rapato, senza arrivar mai ad essere indecente.
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