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      Il finire sul vero, come si finirebbe un quadro nello studio, serve a cercare lo sfondo coi mezzi semplici della natura, e non coi contrapposti forzati d'un'arte manierata: ricordandoci però sempre che i mezzi nostri sono limitatissimi, mentre sono infiniti quelli della natura. Essa ha la luce sulla sua tavolozza, e noi ci abbiamo la biacca. Siamo dunque costretti d'aiutarci cogli artifizi, e perciò si dice arte. È facile il procurare lo sfondo ad un lontano vaporoso e cilestrino, con un grosso albero nero che gli si metta davanti, all'uso de' manieristi; ma è men facile ottenere simile sfondo, coi mezzi infiniti usati dalla natura, che tante volte è chiara sul davanti e scura in lontano. Non solo è men facile ma è impossibile avvicinarsele, se non s'altera in una data misura la prospettiva aerea, se non si trascura, l'indietro e non si finisce l'avanti un po' piú che nel vero. Anche quest'artificio deve però stare in certi limiti. E come si fissano? col talento e col gusto. La prima, la vera molla dell'arte sta in loro: l'ispirazione è il fervido raggio che solo ne può fecondare i germi. Nella pittura di paese si possono, suggerire precetti, osservazioni ecc., ma se non s'opera per ispirazione, tutto è inutile. Per questo i grandi paesisti sono stati piú rari che i grandi in altri rami dell'arte.
      Il metodo che accenno, io l'ho seguito per moltissimi anni, passando in villa tutta intera la bella stagione. Ora invece si studia meno ed in altro modo dal vero. Quale de' due metodi è il buono? Il migliore forse sarebbe quello che partecipasse d'ambedue.
      Gli anni di validità al lavoro sono misurati all'uomo. È bene dividerne l'impiego. Prima di tutto il paesista deve imparare a riprodurre il vero, poi a far quadri.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890