Mentre sono nati nella vera patria d'ogni bellezza naturale, sotto il limpido e potente raggio d'un sole, che colora e pianure e mari e monti ed alberi ed edifizi di quelle tanto mirabili intonazioni, preferiscono un'arte serva d'altrui; un'arte che aspetta da Parigi o da Londra i suoi modelli e le sue ispirazioni, colla pacotille dell'altre nouveautès dell'anno; preferiscono una natura senza anima, senza carattere, fiacca e smorzata, da rassomigliarsi ad un istrumento che abbia la sordina; e per essa rinnegano l'Italia e quel suo cielo, quelle sue bellezze, che purtroppo chiamarono sul nostro suolo, un tempo, già tanti nemici, ma che graziadio oggi vi chiamano soltanto amici che non mai si saziano di magnificarle!
I boschi, i querceti, i castagneti che vestono il lungo dorso dell'Appennino, non reggono forse al paragone della foresta di Fontainebleau? Le marine d'Albenga, di Sestri, di Port'Ercole, di Sorrento, d'Amalfi splendono forse meno di quelle d'Etretat e di Trouville? l'onda gialla dell'Oceano, è forse piú poetica che l'azzurro flutto del Tirreno e del Jonio?
L'indipendenza non vale d'averla sulla lingua se non s'ha nel cuore, ed in tutto: anche nell'arte. Siamo nazione, siamo Italiani, siamo noi una volta in ogni cosa, in ogni genere, sotto ogni forma, ovvero, se non si vuol far piú, gridiamo meno.
Que' paesisti invece che ho citati del 1814, tutti stranieri, salvo Bassi, trovavano pur degna l'Italia d'essere ritratta, e tutta l'Europa fu della loro opinione. Ancora ho davanti agli occhi le spiagge di Napoli e di Baja di Denis; le Forche caudine di Chauvin: gli orizzonti della campagna di Roma di Woogd; le macchie della Nera di Verstappen, e la cascata delle Marmore di Bassi.
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