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      Il pubblico già sapeva che l'infamia emerge dal delitto e non dalla pena; e se v'era stato delitto nel violare il giuramento militare, le intenzioni, il carattere de' colpevoli, come pure le circostanze li mettevano al coperto d'ogni idea di disonore.
      Non erano gran teste politiche, ecco il loro delitto; non aveano saputo premettere quell'indispensabile calcolo delle forze e delle resistenze, senza il quale neppure si fa girare la macina d'un mulino; altro che voler voltar sottosopra e piegare a nuovi ordini popoli e governi.
      Tanto poco avevano saputo far questo calcolo, che essendo essi la maggior parte nobili, quindi del partito privilegiato, e mettendosi a questi rischi, col solo fine di potersi spogliare di loro privilegi, neppur trovarono appoggio valido nella folla stessa degli esclusi, pe' quali si faceva la rivoluzione.
      Il dono della libertà somiglia al dono d'un cavallo bello, forte, bizzarro. A molti desta la smania di cavalcare; a molti altri invece aumenta la voglia d'andare a piedi.
      Mio fratello s'era intanto ritirato in Isvizzera con sua moglie, e vi rimase qualche tempo. L'altro mio fratello, Enrico, ufficiale d'artiglieria, non si volle impicciare in queste faccende, non abbandonò la sua bandiera, e fece bene.
      Può darsi che l'avvenire veda spuntar quel giorno nel quale, sciolti da un pezzo gli eserciti permanenti non solo, ma dimenticata persino la loro esistenza, come pure le idee, le tradizioni, il culto dell'antico mestier dell'armi, una bandiera si riduca ad essere un pezzo di curiosità, un mobile da musei, uno straccio cucito ad un bastone. Può essere come alcuni pretendono che gli Stati vengano a non avere piú altre forze se non di cittadini armati all'occasione, specie di costabili inglesi; e chi sarà vivo allora ci avrà a pensare.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





Isvizzera Enrico Stati