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      Ma ciò non bastava a mio padre. Pensare che il suo nome dovesse forse rimanere nella storia d'una ribellione contro il Re: "pensare (come mi diceva molti anni dopo, cupo ancora e doloroso) che il nome mio poteva essere appeso alle forche qual nome di ribelle!..." Questa memoria l'ebbe fitta nel cuore sempre, come la punta barbata d'una freccia, che entrata una volta non esce piú.
      Egli era il vero ritratto di quelle severe figure storiche, rare pure anche nella storia, che non poterono mai mutarsi, né mutar opinioni, né mutar propositi, né aspetto, e neppur lingua e parole, piú di quel che possa un pesce mutare elemento, levarsi a volo e posarsi sulla cima degli alberi. Quando io ebbi ad ideare il carattere di Niccolò de' Lapi, se fu trovato in esso qualche verità e qualche bellezza, ne fu cagione l'averlo io ritratto da quel bello e da quel vero che potetti studiare in mio padre. Il suo amore per il figliuolo, le parole di pace di mia madre, l'austerità del suo sentimento religioso, tutto l'induceva a perdonare, ed egli perdonò, ma scordare e non soffrirne era oltre le sue forze.
      Mio fratello Roberto sentiva dal canto suo d'avere il diritto di seguire quelle opinioni politiche che gli parevan migliori. Aveva forse torto? No certamente; ed il rispetto alla memoria paterna non mi deve impedire di notare che nostro padre non riconosceva forse abbastanza quel diritto, senza il quale i Cristiani sarebbero ancora pagani, i governi sarebbero si può figurare che cosa, e la gran macchina del mondo la sarebbe rimasta ferma da secoli come un oriuolo al quale si sia spezzata la molla.
      E nonostante anche quella sua inflessibilità era rispettabile. Povero vecchio! Vederlo nella sua rassegnata, ma invincibile e muta tristezza, stringeva il cuore!


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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