Il mondo cristiano avrebbe forse ammesso Roma italiana, libera, vivente sotto la legge comune, ed insieme capitale religiosa della Cristianità: avrebbe forse compreso il Papa difeso da titolo e prerogative, non da autorità di principe, capo indipendente della religione.
Ma al modo col quale si condussero le cose, la civiltà moderna non può ancora accettare l'idea di vedere per le porte spalancate del Vaticano, uscir da una parte il papato, ed entrare dall'altra i cortigiani e le cortigiane della rivoluzione!
Ecco perché ho scritto queste pagine. Ma ho ancora un altro motivo.
Nessuno potrà dire ch'io abbia mostrato dispregio per le grandi memorie di Roma, ch'io rida delle superstizioni de' suoi cultori. Mi sembra d'averne parlato in modo da contentar i piú e i piú rigidi, e magnificati i suoi destini e le sue glorie sopra quelle d'ogni altra città. E l'ho fatto, perché avesse maggior valore e maggiore importanza la conclusione che intendo cavarne.
Tutte le grandezze e le glorie di Roma, come tutte le grandezze del mondo, non riscattano un atto d'ingiustizia, di violenza; e se costarono prezzo di infelicità e di dolore agli uomini, furono troppo pagate. Impariamo dunque a non lasciarci abbagliare dall'ingegno, dalla gloria, da falsi splendori. Lodiamo ed ammiriamo chi rende gli uomini felici. Condanniamo sempre e teniamo in dispregio chi invece li fa miseri e sventurati.
CAPITOLO III
La forma del mio ingresso in Rocca di Papa, solo, a piedi, cacciandomi innanzi un ciuco portatore delle mie poche robe, non aveva tradito il mio incognito. Generalmente la vista degli attrezzi di pittura, i bastoni, i cavalletti, l'ombrello bianco, la cassetta de' colori, risvegliava ne' ragazzini de' paesetti l'idea e la speranza che arrivasse il burattinaro: e talvolta venni accolto colle festose grida: Li burattini, ecco li burattini!
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