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      - Questa volta era arrivato dopo l'avemmaria, e non ebbi neppure questa modesta ovazione. Cominciai la mia vita di lavoro, mi venni addomesticando con parecchi del paese, i quali mi credevano un povero artista (quanto al povero ci azzeccavano), ed un semplice discendente d'Adamo (e qui mi facevano un torto manifesto).
      Sulla piazzetta, in cima alla salita, v'era un piccol caffè tenuto da un giovane chiamato Carluccio Castri, e da sua moglie Carolina, una delle piú belle fra quelle Rocchigiane. Qui si riparavano tutti i migliori del paese dopo calato il sole, e fino ad un'ora di notte, come usano le passere prima di mettere il capo sotto l'ala, anche costoro vi facevano una buona sfogata di chiacchiere.
      Qui capitavo anch'io, e talvolta colla chitarra cantavo tarantelle o canzoncine che mi resero presto la delizia della Rocca. La mia popolarità s'aumentò quando per la festa del paese combinai non so che arco sotto il quale passò la processione, e vi dipinsi una Madonna che non poteva davvero, sotto l'aspetto artistico, chiamarsi sine labe. Ma il pubblico l'accettò come era.
      Strinsi amicizia col Carluccio caffettiere. Esso è uno degli uomini ai quali ho voluto piú bene.
      Povero Carluccio, la mia venuta fu la mala venuta per lui, come presto dovrò dire. Ma chi legge nel futuro?
      Egli che non ci leggeva, mi mostrò presto molta simpatia, a poco a poco si divenne amici; s'era sempre insieme; alle feste, alle fiere de' castelli, della montagna, uno non andava senza l'altro: e la Carolina anch'essa senza che nessuno di noi pensasse piú in là, mi faceva carezze, e prendeva meco confidenza. Siccome ero biondo, e portavo un collier grec biondo, come si dipinge piú o meno il Redentore, mi diceva - Sor Massimo!


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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