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      La signora dal canto suo non sembrava punto alterata per lo sdegno represso, e per le sbottonate dell'amico; notavo anzi sul suo viso, ed in un suo risolino maligno, un'espressione che pareva piú che altro di piacere; ma di que' piaceri che debbono provare le streghe a rattrappire i bambini nelle culle; se pure la leggenda non le calunnia, e se dice proprio la verità.
      Sa il diavolo quali calcoli covassero sotto queste apparenze! Quali cose avesse essa dette, o fatte dire, o lasciate supporre, o insinuate! Comunque sia, se il suo progetto fu di metter male e far nascere quistioni fra il suo amico e me, la trappola scoccò a vuoto. Egli pochi giorni dopo se n'andò pe' fatti suoi, ed io rimasi sempre meno disposto ad ammirare i pregi fisici e morali della signora Erminia.
      Intanto io seguitavo i miei studi con calore. Da Roma ricevevo tratto tratto qualche lettera, che mi portava le nuove e le vicende del mondo allegro de' miei coetanei. Non nego che qualche aspirazione a quella vita saporita non mi venisse fuori dall'intimo del cuore: a ventitré anni alla fine non s'è un romito; ma vinse e vinse poi sempre in appresso il buon principio. Se non mi moveva l'amore astratto del bene, mi reggeva e mi guidava un'intima soddisfazione, parendomi riportare una bella vittoria, e potere credere di valer meglio di molti altri.
      In allora erano in piedi quelle compagnie che quattro secoli fa si sarebbero chiamate di ventura, e le avrebbe comandate il conte Lando, fra Moriale, od il duca Guarnieri nemico di Dio e della misericordia; nel mio tempo invece le comandava Barbone, Spadolino, De Cesari ecc., piú tardi Gasparone: eran chiamati i briganti, ed avevano i birri ed il bargello alle calcagna.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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