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      Ci pensino; e pensino che vale piú un fatto di cento parole.
      Tornato alla Rocca dopo pochi giorni, ed avanzandosi la stagione, mi disposi alla partenza. Essa doveva lasciarmi tristi memorie.
      La mia amicizia con Carluccio s'era sempre mantenuta uguale. Nessun sospetto aveva mai turbata la sua mente. Sarebbero stati ingiusti, che neppur una parola avevo a rimproverarmi riguardo alla Carolina.
      Ma ci entrò di mezzo l'Erminia; e Carluccio seppe che il paese aveva chiacchierato.
      Venne il giorno della mia partenza, ed egli mi volle accompagnare sino alla pianura: si montò a cavallo, o piuttosto si presero per la briglia, per far piú comodamente la ripida scesa di quasi un miglio, che conduce, per mezzo a una folta selva, alle vigne di Marino. Quando siamo in mezzo alla macchia, mi comincia a parlare d'Erminia, e a poco a poco riscaldandosi, dice di lei quel che meritava e anzi un po' meno; e finisce col piantarsi sulle due gambe guardandomi in viso, e mi fa: "E sai persino che cosa m'ha voluto far capire?... che tu facevi il caro con mia moglie!..."
      In ogni paese una simil parola, in eguali circostanze, può essere foriera immediata di gravi fatti; ma in que' paesi piú che altrove è quasi sempre la compagna indivisibile d'una ed anche parecchie coltellate: però, ad ogni buon riguardo, gli tenevo gli occhi alle mani. Ognuno può sentire quanto sia difficile in simil caso non trovare una risposta quanto trovare un viso, uno sguardo, un suono di voce che la renda naturale ed efficace.
      Ma in fin de' conti, la Dio grazia, l'usbergo del sentirsi puro è pure un buon usbergo, e la coscienza netta vale qualche cosa nel trattare cogli uomini. "Carluccio mio", gli risposi tranquillamente, "la sor Erminia può dire quel che le pare, ma io ti giuro da galantomo, che a tu' moglie non le ho mai detta una parola né fatto un atto che te ne potessi lagnare.


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Racconti leggende e ricordi della vita italiana
(1856-1857)
di Massimo d'Azeglio
pagine 890

   





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