Misi insieme un quadro, che rappresentava un dirupo con una spelonca, preso a Castel Sant'Elia, e non mancava d'effetto, unito ad un lampo di verità; primo frutto dell'avere per sei mesi veduta e considerata continuamente la natura.
In quell'inverno venne a Roma un signore piemontese mio amico, colla moglie ed una sua unica figlia, che sposò in appresso il fratello del conte Cammillo Cavour, marchese Gustavo, morto di recente.
Questo signore era il marchese Lascaris di Ventimiglia, degli antichi Lascaris d'Oriente, venuti in Italia nel secolo XV dopo la caduta di Costantinopoli.
Io mi legai piú di prima con lui, ottimo galantuomo, perfetto gentiluomo, colto, amorevole, di spirito vivace, allegro, e d'una stampa veramente originale. Egli aveva passione per l'arte e per gli artisti, ed io un po' gli servivo di cicerone, a momenti avanzati. Vide il quadro che avevo terminato, gli piacque, ovvero, ciò che è piú probabile, volle usarmi una gentilezza, e mi diede la felice notizia ch'egli lo comprava.
La gran questione discussa a Torino in casa della marchesa d' Crsentin, arrivava alla sua soluzione.
Ma non vi arrivava senza che io stesso non sentissi nel mio interno un'impressione difficile a definirsi, che però non mancava d'analogia colla decisa ripugnanza. Tanto è arduo alla ragione cacciare di posto i pregiudizi della prima età; e tanto importa quindi l'imprimere ne' cervelli de' bambini piú teneri, non pregiudizi, ma idee vere e sane fin dai primi principi!
Però non rifiutai il negozio, come si può credere, ed anzi per castigarmi mi prefissi di ricevere i denari dalla mano alla mano, guardando in viso chi me li porgeva; evitando insomma tutte quelle ipocrisiette che molti usano, in certe professioni, all'atto di farsi pagare, come se potessero cosí mutare o velare la realtà del fatto.
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