Lo lesse e, tornato in casa, prese un gran mazzo di chiavi, le mise in mano ad una sua villana, ed essa ed io, tirandomi appresso il cavallo, si cominciò a salire verso il castello.
Bisognò cominciare dall'aprire il portone con una chiave che potea figurare in un processo d'omicidio come istrumento contundente. Poi si trovava uno scalone; poi un'anticamera con un rastrello per armi in asta; poi una sala con un teatro (stile del 700) che cadeva a pezzi; poi altre stanze in una delle quali era la serie dei ritratti di casa Sforza.
Da Giacomo Attendolo, fiero, nero, peloso e affumicato, si veniva sino ad uno degli ultimi duchi dell'epoca Pompadour, bianco e rosa, incipriato, bellino, graziosino, in calzoncini celesti, abito tortorella ricamato in argento, e panciotto glacé.
La successiva trasformazione di que' visi era il fedel ritratto della trasformazione delle grandi famiglie italiane; salite coll'attività e l'energia, tramontate coll'inerzia e colla dappocaggine.
Le stanze accennate erano tutta un'infilata sul davanti del palazzo. Altre ve n'erano sul di dietro, in una delle quali gli avanzi d'un paio di letti, e ciò formava il primo piano. Salii al secondo sempre seguito dalla villana sotto-custode. V'era riprodotto il quartiere di sotto suddiviso da tramezzi, e smobiliato quasi interamente. Riscesi, e deposte le bisacce che avevo levato d'in sul cavallo, nella camera de' letti, mi diedi a' preparativi del mio alloggiamento.
Quella ragazza mi stava guardando, ignorante delle mie intenzioni. Quando le ebbe finalmente indovinate, mi disse con un'indescrivibile espressione di stupore:
- E tu qui vuoi dormire? solo solo?
- Se piace a Dio e alla Madonna, risposi io.
- Ma non sai che ce stan li spiriti!
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