Per compir l'opera, avevo intanto mandato un ragazzino a tagliarmi un fascio di rami d'olmo. Fra tutti e due in pochi minuti se n'ebbe intrecciata e messa in opera sulla finestra un'infrascata onde fare scuro nella stalla.
Se lei capitasse a Genzano, osservi la inferriata bassa accanto al portone a sinistra, e se la notizia la può interessare, sappia che colà era la mia scuderia.
Allora finalmente mi parve aver diritto di pensare a me.
Il mio bagaglio, i miei attrezzi che non potevo portar con me, gli avevo spediti da Roma colla carrozza di Genzano. Andai per essi, e fattimeli portare su in castello, cominciai ad accomodarmi.
Cogli avanzi de' due letti ne composi uno che mi procurò poi una serie di veri sonni dell'innocenza, e scelsi per dormire la camera sul di dietro, accanto al palco scenico del teatro; le porte di questa camera chiudevano poco e male, ma le altre chiudevano peggio.
Il parato era stato un coiame lavorato ad arabeschi, e ne rimaneva una metà soltanto, staccata in molti punti, e pendente a pezzi e bocconi rasente il muro.
C'era pure un vecchio canterano con i suoi cassettoni per la biancheria. Nella gran sala de' ritratti disposi poi le cose di pittura, una dozzina di volumi (il solito Pignotti ed il solito Plutarco), l'occorrente per scrivere, insomma il mio gabinetto di lavoro, lo scrittoio.
Ed ecco messa su casa, e prima di mezzogiorno ordinata perfettamente la mia nuova dimora!
Mezzogiorno in quel tempo, e per molti anni, fu per me l'ora di pranzo. V'era a Genzano una osteria tenuta da un Milanese, e situata in una dell'ultime case a destra uscendo dal paese verso Velletri. Ci feci una prima stazione, che doveva essere seguita poi da tante altre, e non essendo esigente, me ne trovai benone.
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