È incredibile come il mondo dappertutto è diventato assai piú esigente che non era allora.
In quest'osteria della quale ognuno si lodava, era uno stanzone terreno, ex-granaio, del quale uno de' capi veniva occupato dal camino, un paio di fornelli, ed il banco dell'oste.
A mezzogiorno s'era sicuri di trovarci cotti e lessi una minestra ed un paio di piatti, tre al piú, stile casereccio, e cosí la carta era presto veduta. V'apparecchiavano su certi tavoloni stretti e lunghi, con un tovagliolo largo mezzo metro, un altro per pulirvi la bocca, posate di ferro, un mezzo di vino e due pagnottelle.
Finito il pranzo, veniva un villanello del paese facente funzione di cameriere, e levato il tovagliolo, appoggiato il gomito sinistro sulla tavola, con un pezzo di gesso nella destra scriveva sul fondo lustro ed oscuro del legno il dare dell'avventore. Pagato il conto, colla manica della camicia cancellava le cifre, e cosí la contabilità mantenuta in corrente non pativa di veruna incertezza.
I commensali che trovai, erano non tanto gente del paese, ove generalmente ognuno mangiava in casa sua, quanto gente o d'impiego o di passaggio. Questi commensali (ognun da sé e per sé, badiamo! sul suo isolato tovagliolo) presto si mutarono in conoscenti ed infine alcuni quasi divennero amici.
V'era, fra gli altri, il maresciallo dei carabinieri - il pezzo grosso di quella società -, giovane napoletano, biondo, buon diavolo, e di buona compagnia; e un suo amico, che presentava uno strano fenomeno. Costui aveva sofferta una lunga e gravissima malattia, e n'era guarito per vero miracolo. Ora per rimettersi, se la passava a Genzano e vi faceva la convalescenza. Prima d'ammalarsi era stato uomo d'affari e di faccende, attivo, ardito, che aveva assaggiato un po' di tutto, e d'età non al di là dei quaranta.
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Genzano
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